a colazione con...

Geoffrey Moore
Produttore cinematografico e imprenditore


Figlio del celebre Roger, avrebbe potuto seguire le orme paterne. Invece ha scelto una carriera autonoma. Cresciuto sui set, nella sigla iniziale di Attenti a quei due si vede un giovanissimo Lord Brett Sinclair impersonato proprio da lui, avrebbe potuto assaporare la frenesia dello star system. Invece ai riflettori ha preferito uno stile di vita glam, ma discreto. Colto, conosce perfettamente quattro lingue, sofisticato ed esteta raffinato, Geoffrey Moore non ama parlare della sua famiglia in quanto la considera un valore da custodire gelosamente. Anche per questo ha deciso di vivere a Gstaad, località montana sulle Alpi Bernesi dove ogni inverno si dà appuntamento il gotha del jet set internazionale. Attenzione però: ancora una volta il figlio di James Bond non cede alla lusinga dei party più cool e preferisce dividere il suo tempo con gli amici fidati. Uno fra tutti, il gioielliere dei vip Fabrizio Granero che dall’Italia, passando per il Principato di Monaco, ha scelto questa località perché sa coniugare il lusso più raffinato con la semplicità e ad essa dedica dei gioielli limited edition che sono un vero must have per quanti possiedono uno chalet. Proprio a Gstaad, poco distante vive Sir Roger, incontriamo Geoffrey Moore.
Lei ha scelto di vivere lontano dalla frenesia di Londra e di Los Angeles: perché Gstaad?
“Perché è il luogo ideale per una famiglia. La natura, il silenzio, le persone che ci abitano tutto l’anno lo rendono magico. Qui il cambio delle stagioni ha un fascino unico da assaporare giorno dopo giorno, non ci sono né traffico né violenza e i rapporti umani sono sinceri, disinteressati e discreti. Non ha importanza quanto si è famosi, ma ciò che si è. Il business mi porta spesso in Inghilterra o in America, ma già dopo una settimana ho voglia di tornare a casa perché questo è il mio mondo. È la vita vera. A Gstaad ho amici fidati come Fabrizio Granero che conosco dagli anni ’80, quando insieme frequentavamo Monte Carlo. Condividiamo molti ricordi divertenti di quel periodo in cui il Principato di Monaco era davvero glamour e tutto il jet set internazionale si dava appuntamento là. Allora eravamo giovani e frequentavamo i party più esclusivi; oggi abbiamo scelto entrambi di far crescere i nostri figli in un ambiente ugualmente chic, ma più a misura d’uomo”.
Però anche Gstaad è conosciuta per essere frequentata da Very Important Person…
“Da dicembre a marzo sono molte le celeb che vengono qui per sciare e ogni sera ci sono diversi eventi davvero cool, ma i veri VIP alla mondanità sfrenata preferiscono le cene con pochi intimi. A me piace trascorrere il tempo con mia moglie Loulou e con le mie due figlie, Ambra Chiara e Mia, oltre che con gli amici di sempre”.
A proposito di amici, ha citato il gioielliere del jet set internazionale Fabrizio Granero. Ci racconta qualche aneddoto che vi riguarda?
“Ci siamo conosciuti a Monte Carlo nel 1984. Benché fosse poco più che ventenne, era già stimato da tutti e la sua gioielleria in Avenue des Beaux Arts era il punto di riferimento dell’élite mondiale. Tra i suoi clienti c’erano la principessa Grace con la figlia Stephanie, Kirk Douglas, Frank Sinatra, Joan Collins, Elizabeth Taylor, Roberto Rossellini e molti altri. È sempre stato considerato un gemmologo e un gioielliere serio e competente, oltre che fidato. Per questo tutti si rivolgevano a lui. Ricordo che un pomeriggio Fabrizio ed io andammo a Le Bar Américain dell’ Hôtel de Paris e incontrammo Sammy Davis Jr e Frank Sinatra. Sammy mi chiese chi fosse il mio amico e quando gli dissi che era un gioielliere lui replicò: non dirlo a mia moglie! In realtà quella sera stessa sua moglie acquistò uno splendido anello da lui. Il giovane italiano sapeva conquistare tutti sia con l’unicità e il design delle creazioni sia con il suo stile e la personalità solare”.
Sia lei sia Granero siete molto legati a Gstaad e il gioielliere firma addirittura delle creazioni esclusive che possono essere acquistate solo da chi possiede uno chalet. Pare che la prima sia stata commissionata da suo padre Roger.
“Fabrizio è davvero geniale perché ha capito lo spirito di chi vive qui. Per rendere omaggio a questo paese incantato, ha creato un gioiello a forma di cuore customizzato perché raffigura l’abitazione del committente e che viene distribuito da Kunta Luxury. Solo chi possiede uno chalet a Gstaad può farselo realizzare e alcuni hanno fatto inserire anche il proprio cane o l’orso, simbolo di Berna, o altri animali. L’oro e le pietre preziose gli regalano un’allure chic e raffinata, ma la lavorazione a découpage lo rende facile da indossare e perfettamente in linea con lo stile locale. In effetti mio padre è stato il primo a volerlo e adesso che è un must have, scherziamo dicendo che Fabrizio dovrebbe creare un gioiello per chi possiede un aereo privato”.
Come figlio d’arte sarebbe stato facile seguire le orme di famiglia, invece lei ha scelto una carriera autonoma. Ce ne parla?
“Mi occupo di televisione, ma preferisco lavorare dietro le quinte anche se in passato ho recitato in alcuni film. Con il mio socio che vive a Los Angeles abbiamo partecipato al progetto della serie TV Roma ideata da Bruno Heller e prodotta da HBO, BBC e Rai Fiction. Le riprese sono state effettuate a Cinecittà dal 2005 al 2007 per cui sono venuto spesso in Italia. Come produttore sto lavorando ad un progetto televisivo intitolato Fly tigers realizzato insieme con il Governo cinese e al remake de Il Santo, la serie inglese degli anni Sessanta che consacrò mio padre come attore internazionale. Il mio business non è legato solo all’entertainment, ma anche alla ristorazione: ho tre locali a Londra ed uno a Gstaad e mi piace che gli ospiti vivano l’esperienza del buon cibo in un ambiente cool e raffinato”.
È considerato un’icona di stile: qual è il suo segreto?
“Lo stile è il giusto mix di innovazione e personalità. Si può essere sportivi, eleganti o casual, ma per distinguersi occorre avere carattere. Amo la moda italiana e il mio sarto vive nel vostro Paese. Lui ha capito perfettamente il mio carattere e che cosa mi piace, per questo mi segue da tempo. Sono un esteta appassionato anche di profumi, che colleziono. Ne ho tantissimi e li scelgo in base alla stagione”.
Un sogno da realizzare?
“Ne ho tantissimi. Mia madre dice che ogni volta che concretizzi un sogno, ne puoi esprimere un altro. Sognare e raggiungere gli obiettivi è un mezzo per crescere e sentirsi vivi. Ad esempio mi piacerebbe sensibilizzare le persone affinché non sprechino risorse come l’acqua e il cibo. Viviamo in un loop nel quale creiamo, consumiamo e distruggiamo senza pensare che quello che una minoranza distrugge potrebbe essere fonte di vita per molti”.





Fabio Barovero
musicista, compositore, produttore



Conosco e stimo profondamente Fabio e la sua musica. Co-autore e musicista co-produttore di tutti gli album dei Mau Mau dal 1991 al 2011, oggi collabora con Stefano Mordini, Alessandro d'Alatri (Nastro d'Argento per le musiche del film La febbre), con Ferdinando Bruni e Valter Malosti in teatro. Fabio è anche co-autore e produttore di tutti gli album della Banda Ionica e di Saba Anglana, autore delle musiche di Masterpiece e di numerose sigle per le trasmissioni di Radio Rai e di quella ufficiale del Torino Film Festival dal 2007 al 2013. Ultima, ma solo in ordine di tempo, è la realizzazione della colonna sonora del film La luna su Torino di Davide Ferrario con il quale collabora da tempo.
Ho raggiunto Fabio nel suo studio di registrazione, uno splendido mulino sulla Dora nel quale l'atmosfera è sospesa e l'energia è positiva, per scoprire come nasce la colonna sonora di un film.


Fabio, come definiresti il soundtrack de La luna su Torino?
"Una melodia che galleggia sui tetti di questa città che si fa suono, immagine dopo immagine. Lavorare con Ferrario stimola la creazione di un'originalissima pittura: occorre far convivere cultura alta, bassa e tecnologica".
Quali sonorità hai inserito per questo progetto?
"Il sound è balcanico, francese, schubertiano e risente dell'esperienza pregressa con le bande di paese. Nel cinema di Ferrario c'è una musicalità che ricorda gli anni '60, con orchestre eleganti, mentre io volevo apportare un segno popolare, ma con una levatura più colta. Secondo me il film è una poesia sul pentagramma".
La tua ispirazione?
"Le musiche sono parte integrante del lungometraggio quanto la parola e la fotografia e per costruire l'inedita architettura della Torino raccontata nel film, suggestiva e misteriosa, mi sono rifatto alle bande del Mediterraneo e alle sonorità mitteleuropee. Sul 45° parallelo ideale dell'opera di Ferrario, che è anche l'ubicazione geografica di Torino, convivono i liuti arabi, i valzer, la banda popolare, la kora senegalese, il friscalettu siciliano e il dub giamaicano".
Hai uno schema quando lavori alle musiche di un film?
"Assolutamente no. Scrivo, plasmo e reinvento di continuo anche perché il confronto con il regista è costante e mutevole. Davide Ferrario ha soppesato più volte tutti i brani e alcuni sono stati tolti in fase finale, altri sono stati inseriti. La melodia più bella per un film è quella che funziona e quindi io mi presto totalmente. Il compositore deve scrivere, ma solo con la conoscenza può trasgredire. Lavoro con i sincretismi musicali da sempre e l'organico che utilizzo è una sorta di orchestra ibrida o di banda alla quale si aggiungono gli archi di Davide Rossi, Simone Rossetti e Federico Marchesano".
Per La luna su Torino hai coinvolto anche Carlotta e Dente. Come è nata la collaborazione con loro?
"Ferrario mi ha fatto ascoltare alcuni brani di Joanna Newsom, cantautrice e arpista statunitense, e mi ha detto che voleva questo tipo di melodia per le scene degli interni della stanza di Maria, la protagonista. Qualche settimana dopo ho avuto occasione di ascoltare Carlotta, che non conoscevo, ed ho scoperto che era perfetta così l'ho coinvolta nel progetto e insieme abbiamo provato nuove strade. Il suo tema ha uno stile inglese che mi piace molto. Dente, invece, è stata una scommessa. La traccia Torino sulla luna non era preventivata, ma la sua voce ricca di armoniche era ideale per dare leggerezza al film. Nella musica si uniscono le chitarre, l'ukulele di Cesare Malfatti, chitarrista dei La Crus, e un ensamble di fiati dei maestri della Banda Kadabra".
Dove troviamo le musiche del film?
"Su ItunesYouTube e su tutte le piattaforme digitali. Il lavoro è edito da Peermusic Italy, etichetta che negli States segue Rihanna, Raphael Gualazzi e altri artisti".







Dino Del Corso
Ceo di Semplicemente Chic


Amante del bello e dell'eleganza, Dino Del Corso è costantemente alla ricerca di particolari mai banali. Ceo del brand Semplicemente Chic, la sua mission è educare allo stile. Originario di Pisa e torinese d'adozione, questo professionista dell'image and luxury consulting è specializzato in face fitting, wardrobe restyling, dress code etiquette, bon ton e wedding dress. Davvero infaticabile, è anche make-up artist e personal shopper for luxury accessories ed offre la sua consulenza ai brand più prestigiosi della moda sia in Italia sia all'estero. Docente presso la Professional Lab, Accademia di Marketing Comunicazione e Moda, è inoltre image consulting e make-up artist per il cinema, mentre in radio firma la rubrica Galateo Express su RVUno dedicata allo stile, al bon ton e alla cura dell'immagine. Last but not least, Dino Del Corso organizza workshop a tema dedicati ai privati e alle aziende, dei quali uno dei più richiesti ha per protagonista... the English tea.
Dal sito www.semplicementechic.com si evince che l'etiquette ha per te un significato basilare: ci parli dei corsi che organizzi su questo tema?
"Oggi più che mai il galateo è un valore fondamentale e saper adottare il comportamento più consono ad ogni situazione è imperativo tanto sul lavoro quanto nella vita privata. Nel sito spiego come si svolgono i corsi dedicati al bon ton e all'etiquette, che sono suddivisi in diversi temi. L'Arte del ricevere si articola in incontri dedicati alla mise en place della tavola e alle modalità da seguire per essere dei padroni di casa e degli invitati impeccabili; l'Arte del viaggiare si rivolge ai business manager che hanno la necessità di preparare una valigia che rispecchi la loro agenda di lavoro e che coniughi capi basic con altri più trasversali. I workshop di Business etiquette, declinati sia per chi lavora in Italia sia per chi opera all'estro, puntano invece a valorizzare il perfetto stile del business man o della business woman: dall'abito da indossare all'atteggiamento da tenere sino all'organizzazione di una colazione di lavoro. Sempre più, avere un'immagine impeccabile e adeguata al contesto, sapersi proporre, conoscere le regole del bon ton sono aspetti strettamente correlati alla professionalità di una persona".


Un'altra tua passione è la celebre bevanda inglese: cosa significa essere un Victorian tea planner?
"Significa organizzare tea party in stile vittoriano. Questo tipo di evento è perfetto per rendere originale un compleanno, un addio al nubilato, un incontro tra amiche o un meeting di lavoro. La location può essere proposta dal cliente o selezionata da me e tutto, dalle miscele proposte al food, dalla musica di sottofondo alla mise en place della tavola, dalla creazione degli inviti alle gift bags per gli ospiti, rievoca l'atmosfera britannica".
Perché hai scelto l'English tea e non il Japanese tea come protagonista dei tuoi eventi?
"Perché sono affascinato dallo stile inglese del periodo vittoriano e dalle sue regole del buon vivere. Credo che la cerimonia del tè giapponese sia più distante dalla nostra cultura, mentre quella britannica sia affine ai salotti torinesi. Sia nei workshop a tema sia durante gli eventi che organizzo per i clienti, trasmetto quanto appreso dai maestri dell'eccellenza in materia di bon ton, etiquette e arte del ricevere oltre al konw-how acquisto durante i seminari di tea sommelier".
Semplicemente Chic si occupa anche di image consulting per lui e per lei.
"Esatto. Predispongo incontri mirati in atelier per suggerire il look più adatto alla persona in rapporto al fisico, al carattere, al lavoro e al tipo di vita che conduce. L'importante, secondo me, è consigliare degli outfit che facciano sentire bene chi li indossa e che non snaturino la sua indole. Grazie ad una ricca agenda di fornitori dedicati, posso proporre il look giusto ad ognuno anche in funzione del budget a disposizione".
Per concludere, parliamo di face fitting e make-up?

"Il mio brand si occupa di immagine a trecentosessanta gradi e non può quindi prescindere da questi aspetti. Da sempre lavoro nel settore beauty come make-up artist per il cinema e per i privati, ma anche come insegnante. Organizzo corsi a tema per piccoli gruppi o per aziende, sono bridal consultant e mi occupo anche di face fitting ovvero consiglio gli accessori che meglio si adattano al viso".






Fabrizio Vespa

giornalista, scrittore e dj

Fabrizio ama e vive intensamente Torino. Le trame della città sono tatuaggi nel suo io, ecco perché non la subisce, ma ne è protagonista. Trendsetter più o meno consapevole, con le sue diverse professioni ha dirottato il capoluogo piemontese dal microcosmo sabaudo al macrocosmo internazionale. Poliedrico e dotato di un'intelligenza curiosa, ha vissuto l'età dell'oro del nightclubbing, surfando tra la scrittura e la musica. Fino ai 30 anni ha lavorato per Radio Flash, La Stampa e Torinosette e alla fine degli anni '90 è passato a Radio Rai; trasferitosi a Roma, ha condottoRai Stereo Notte e Suoni e Ultrasuonisu Radio 2 Rai proponendo sound alternativi insieme con Marina Petrillo. Il 2000 segna il Millennium bug radiofonico e molti programmi di musica specializzata lasciano il posto ad altri condotti da celeb anziché da speaker professionisti. Dopo 4 anni Fabrizio torna quindi a Torino e riprende le sue attività di giornalista e dj, oltre che di organizzatore di serate ed eventi, lasciando come sempre un segno indelebile sotto la Mole. Al suo attivo c'è anche una trilogia di libri: L'altra Torino, in cui racconta i quartieri meno centrali e blasonati ma non per questo anonimi, Torino TRue in cui descrive la città in 150 scatti realizzati con lo smartphone e rigorosamente senza filtri o App, e Mal di Torino, un viaggio tra realtà e finzione per spiegare perché i suoi abitanti non riescono a scollarsi del tutto da questo luogo. Il Dottor Vespa continua a collaborare con La stampa, è direttore di SugoNews, uno dei fondatori di Globular, agenzia di comunicazione e ufficio stampa, e di tre associazioni culturali (Riquadrilatero, Azimut e Glocal Sounds), collabora con il Circolo dei Lettori e con la Fondazione per il Libro, la Musica e la Cultura e molto altro ancora, ma questa è un'altra storia.
Iniziamo dalla fine: Voce del verbo moda.
"Il 21 marzo sarò il regista di Distretto dello stile, un tour nel quadrilatero romano per far conoscere i centri e le botteghe che ancora oggi animano la zona. L'appuntamento è alle ore 17.30 al Laboratorio Zanzara di via Bonelli 3, quindi si sale al piano superiore dove ha sede la sartoria Serienumerica per proseguire nel mondo vintage di Magnifica Preda, in via Sant'Agostino 28. Dopo la visita alla torre medioevale della casa del Pignone ci dirigiamo da TAC in via San Dalmazzo e da Born in Berlin in via delle Orfane -  due brand Made in TO con un link europeo - per terminare con un aperitivo da 16 di Luisa e Franchino in via IV marzo 14/a che unisce l'hair styling al design. L'evento si inserisce all'interno del programma diVoce del Verbo Moda che animerà la città dal 20 al 23 marzo".
Sempre a marzo riprenderanno i tour legati al tuo libro Mal di Torino, edito da Espress edizioni. Ce ne parli?
"Lo scorso ottobre le Guide Turistiche Bogianen, partendo dalle pagine del racconto, avevano inaugurato un itinerario per far conoscere quei luoghi che secondo me, con le loro suggestioni, creano una sorta di Mal d'Africa in versione sabauda. Un'iniziativa simile era già stata promossa a maggio, con Books on the Bus, in cui il bus rosso del CitySightseen portava i turisti a visitare quei quartieri che il sottoscritto ed altri autori avevano raccontato nei loro libri. Quest'anno sono previste due date pomeridiane, il 23 marzo e il 6 aprile, e due appuntamenti notturni, il 7 maggio e il 14 giugno".
Soffrire di Mal di Torino significa?
"Significa vivere una malattia dell'anima, un sentimento indefinibile che impedisce ai suoi abitanti di lasciare completamente la città. Torino è un continente mentale, un insieme di emozioni e spunti che legano il nostro spirito alle vie e alle piazze che conosciamo".
Fabrizio Vespa, chi è secondo te Fabrizio Vespa?
"Un ragazzo che ha mosso i primi passi a Torino grazie alla radio. Un dj professionista che ha regalato quell'impostazione mentale necessaria al giornalista e allo scrittore per prendere porzioni di realtà e mixarle, come dimostra Mal di Torino in cui le letture di Cesare Lombroso si uniscono alle interviste ai protagonisti di questa città. Un uomo curioso che ha ancora molto da fare".






Stefano Rogliatti
fotografo e video maker

Difficile "raccontare" Stefano Rogliatti perché sino ad oggi ha vissuto più vite e da ognuna ha saputo cogliere il meglio. Ha iniziato la sua carriera come fotografo e come redattore e in parallelo ha assolto il servizio militare nei Vigili del Fuoco. Da questa esperienza è nata una mostra fotografica che nel 1996 è stata esposta a Lyon, in Francia. Ad essa ne sono seguite altre. Una tra tutte la personale Cernobyl, ten years on per raccontare, dieci anni dopo, la situazione di Bielorussia e Ucraina dopo il disastro nucleare, che è stata esposta alla City Gallery di Leicester, in Gran Bretagna, e successivamente acquistata dall'associazione di artisti Charnwood Art. Direttore della fotografia di alcuni video, giornalista professionista, docente e atleta a livello agonistico (sì, perché Stefano pratica il mezzo fondo e a marzo parteciperà ai Campionati Italiani di mezza maratona organizzata dai Vigili del Fuoco ad Agrigento), il Signor Rogliatti è oggi un video maker che collabora con la Rai e che ha al suo attivo alcuni film e cortometraggi di successo.
Stefano, hai al tuo attivo una serie di esperienze professionali e di vita importanti. Cosa ti hanno dato, in questi anni, a livello umano?
"Sono state tutte belle sfide che mi hanno fatto maturare come uomo e come professionista dell'immagine. Il corpo dei Vigili del Fuoco mi ha insegnato ad essere sempre pronto ad aiutare gli altri, lo sport ad affrontare con impegno le sfide, superare i miei limiti e anche accettare le sconfitte".
Hai iniziato con la macchina fotografica e sei approdato alla telecamera. Perché questo cambio?
"Nel 1998 ho proposto alla sede Rai di Torino un progetto che è poi diventato Il pullman del sole, un video documentario prodotto da Rai TV sul viaggio degli immigrati marocchini residenti a Torino di ritorno a casa. Da allora, la svolta. Sono passato dall'immagine fissa a quella in movimento e oggi mi sento un film maker perché in pochi minuti costruisco la narrazione di un servizio per il TG3".
Oltre al telegiornale, continui con i tuoi progetti personali. Ce li racconti?
"Con Gianfranco Bianco, che considero il mio mentore, ho realizzato tre film dei quali due come co-autore insieme a lui e a  Paolo Girola. Ho prodotto anche Maledetto G8, video allegato al settimanale l'Espresso, Primavera Libaneseuna rivoluzione pacifica che è un reportage a Beirut e nella Valle della Bekaa dopo l'omicidio del Primo Ministro Hariri e ancora Verso le Olimpiadi di Torino 2006, un lungometraggio sulla preparazione psico-fisica della Nazionale Italiana di sci di fondo".
Parliamo di Shlomo. La terra perduta?
"Si tratta di un film inchiesta che ho realizzato nel 2012 con Matteo Spicuglia sulla più antica minoranza cristiana in Medio Oriente. Raccontiamo di Tur Abdin, nella Turchia profonda, dove risiede una comunità di 2500 Armeni, popolo antichissimo e testimone del cristianesimo dei primi secoli in Islam. Shlomo è il loro saluto di pace, il saluto di una comunità che oggi rischia di essere straniera in patria".
Un altro lavoro interessante è Benvenuto Mister Zimmerman.
"Il cortometraggio descrive l'arrivo di Bob Dylan a Barolo per il festival Collisioni del 2012. Con Davide Mazzocco siamo stati in questo paese delle Langhe, dove la vita scorre al ritmo della campagna e della natura, per documentare come questo borgo si preparasse ad accogliere una leggenda della musica. L'aspetto più interessante è stato raccogliere le testimonianze degli anziani, che descrivevano le feste di paese e la vita di un tempo. L'attesa di Robert Allen Zimmerman, in arte Bob Dylan, nella sua unica data italiana di quell'anno, è stata l'occasione per descrivere in immagini lo spirito del luogo e ricordare a noi e agli spettatori cosa vuol dire fare sacrifici, vivere di ciò che si produce o si coltiva, crescere, amare e invecchiare in un paese lontano dalla frenesia della grande città e della tecnologia che, per una volta, diventa protagonista di un evento dal richiamo mediatico".

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Filippo Ugliengo
bassista e cantante dei Karavans



Biellesi di nascita e Torinesi di adozione, i Karavans sono una band orgogliosamente italiana con sonorità indie-rock. Amici da sempre, condividono la passione per le sette note e per i viaggi. Nati ufficialmente nell'estate del 2013, hanno già all'attivo due singoli entrati subito nelle playlist che contano: S(u)ono e I vicini ci denunciano, pubblicati da Fondazione Sonora/BlissCo e accompagnati da due video molto poco Made in Italy e parecchio Made in England. Sì, perché la band sa bene che cosa vuole comunicare e come: basta ascoltare i testi dei due brani e cliccare su You Tube per capirlo.
A colazione con Filippo Ugliengo, abbiamo fatto un bilancio di questi primi frenetici mesi dei Karavans.


Filippo, perché Karavans?
"Perché per le serate ci muoviamo con un vecchio camper. Marco, Luca, Tommaso ed io siamo amici da quando siamo piccoli, ci sentiamo una famiglia, e questo camper rappresenta la nostra seconda casa, un compagno di avventura. Non solo: oltre ad essere social, perché grazie a lui siamo una piccola community, è l'icona di una vita on the road".
Parliamo di S(u)ono e I vicini ci denunciano.
"Nei due singoli c'è tutto il nostro spirito indie-rock. Crediamo nel potere della parola e quindi, oltre al sound, abbiamo lavorato molto anche sui testi che sono caustici, ma reali. S(u)ono racconta quanto sia importante esprimere la propria personalità, al di là degli stats symbol che ci vengono imposti quotidianamente, mentre I vicini ci denunciano è una storia vera; in questo caso ancora di più il mix tra parole e ritmica ha un ruolo chiave. Questo è un testo rap su base rock".
Ci sarà un terzo singolo?
"Lo stiamo già registrando. Siamo self mad men, ma naturalmente avere un'etichetta indipendente e dinamica  come Fondazione Sonora/BlissCo è importante".
Siete su facebook, twitter, You Tube e non solo: quanto aiutano i social nella promozione?
"Sono fondamentali, anche se credo che si arriverà presto ad un punto di collisione. La rivoluzione copernicana della musica è il computer: con lui puoi raggiungere il mondo, ma secondo me c'è un'inflazione di tutto, anche di video e canzoni".
Ultima domanda: perché lo stemma araldico come logo?
"Perché siamo e ci sentiamo una famiglia e volevamo un stemma di appartenenza".

Per saperne di più: www.karavans.it








Giuseppina Sansone
wardrobe & personal shopper consultant

Quando Giuseppina Sansone mi ha suggerito di incontrarci e fare shopping insieme, ho subito accettato. Ero curiosa di vedere una personal shopper all'opera. Oltre che divertente, è stato interessante verificare la professionalità e la competenza di questa donna che ha iniziato la carriera di wardrobe and shopper consultant per clienti privati cinque anni fa e che ha al suo attivo il progetto Fashionista, che studia le strategie di immagine per clienti business, l'ideazione e il coordinamento di una serie di Fashion party all'interno di rinomati atelier "sabaudi" e la collaborazione con giovani brand emergenti nel campo della moda. Non solo: infaticabile e poliedrica, scrive per alcuni magazine online, è autrice del blog Fashion And The City e collabora con il Circolo dei Lettori di Torino dove organizza una serie di workshop di lifestyle davvero interessanti. Recentemente ha partecipato alla trasmissione Cose dell'altro Geo, su Rai 3, ed ha realizzato un workshop sui trend p-e 2013 pubblicato su Cosmopolitan.

Giuseppina, quali sono le tue clienti tipo?
"Sono donne tra i 30 e i 50 anni che dispongono di un budget nella media e che hanno voglia di mettersi in discussione, magari perché stanno vivendo una fase di cambiamento professionale o sentimentale. Sono persone che hanno bisogno di novità e cambiare look è la soluzione più facile. Non solo: per quanto possa sembrare effimero, lavorare sull'immagine ha diversi risvolti psicologici perché una donna che si vede diversa, si sente diversa".
Come si svolge il tuo lavoro?
"Dopo un primo incontro conoscitivo nel quale mi informo sulle aspettative e sulle esigenze della cliente, le chiedo di indossare i propri abiti. Successivamente propongo un nuovo stile con i suoi outfit che si compone di 25-30 abbinamenti diversi che fotografo in modo che lei sappia ricrearli anche in futuro. Al termine dei nostri incontri tengo un tutorial nel quale le spiego come costruire un look equilibrato e come abbinare colori e stampe diverse. Alle clienti chiedo infine di giocare con la moda e di fotografare accessori o vestiti che vorrebbero acquistare così da decidere insieme se sono adatti oppure no. Lo scambio di idee serve per far acquisire loro più sicurezza e consapevolezza. Ultimo, ma non meno importante, stilo una lista di capi che mancano nel loro guardaroba e che sarebbe utile avere".
Hai dei negozi selezionati che consigli?
"Oltre ad alcune boutique di riferimento, spazio dal mercato alla grande distribuzione. Oggi più che mai è importante non essere snob, ma curiose. Talvolta l'outfit della vita si nasconde tra le bancarelle...".
Si può essere trendy con un budget limitato?
"Certamente, perché il buon gusto è innato e prescinde dalla disponibilità economica. Quello che consiglio è di fare una suddivisione tra acquisti-investimento, ad esempio capi passepartout che trascendono la moda del momento, e outfit scelti per sfizio".
Un consiglio moda per bypassare la crisi economica?
"Alle mie clienti suggerisco un re-fashion del guardaroba che consiste nel creare nuovi look con gli abiti che già hanno. Spesso ognuna di noi utilizza solo il 25% dei capi che ha acquistato nel corso degli anni e li abbina sempre nello stesso modo. Interpretarli in maniera nuova non solo è utile, ma anche divertente".
Quanto sono importanti le scarpe per creare lo stile di una donna?
"Attenzione donne, non cadete dalle scarpe! La scelta sbagliata può rovinare anche il look più sofisticato".
Il must have dell'autunno-inverno 2013?
"Il cappotto oversize di lana del colore che si preferisce. Per un effetto cocooning ed elegante".
Un consiglio moda?
"Indossare le stampe in modo sensato; scegliere solo 3 abbinamenti che abbiano una coerenza cromatica e individuare una fantasia predominante".







Alessandra Tinozzi
fotografa


Una sera ricevo una telefonata da Alessandra che mi propone di partecipare ad un progetto tanto divertente quanto innovativo: Sul cuscino (http://www.sulcuscino.com). Decido di accettare e così il giorno dopo mi presento nel suo studio fotografico, nel cuore della Torino creativa, per partecipare allo shooting che mi ritrae sdraiata su un cuscino che mi rappresenta, foderato con un foulard griffato Miss Crumb nel quale sono scritte parole e parole e parole.
Alessandra ha la capacità innata di far sentire le persone rilassate: benché io sia sdraiata e lei in posizione dominante, armata di macchina fotografica, non sono a disagio e, anzi, mi diverto davvero! Il risultato è sorprendente e il merito non è mio, ma di questa fotografa professionista che fa del ritratto uno stile di vita.
Tempo dopo la invito a pranzo e, quasi per gioco, decido di intervistarla. Non avendo il registratore con me, utilizzo i tovagliolini di carta del bistrot nel quale ci troviamo. Nonostante la poca professionalità dei miei strumenti, le sue parole sono davvero interessanti. Leggere per credere!
Alessandra, come sei approdata alla fotografia?
"Per obbligo. Mi ero appena laureata in storia del teatro dopo aver vissuto negli States e mio padre, fotografo pubblicitario, aveva deciso che dovevo lavorare. All'inizio ho odiato questa professione, ma la severità del mio maestro mi ha formata ed oggi gliene sono grata. Dopo alcuni anni ho capito che potevo anche ritrarre altri soggetti oltre a quelli industriali e pubblicitari e così mi sono indirizzata al ritratto. Sono partita per gli Stati Uniti dove ho seguito un corso all'International Center of Photography e dal 2000 lavoro come freelance".
Quali soggetti preferisci?
"I bambini e gli uomini di potere perché sono i più difficili da tenere a bada e da conquistare. E' una sfida: devo sapere dove condurli e studiare tutto nel dettaglio".
Tu hai ritratto sul cuscino, ma non solo, chef stellati.
"Mi piace smontare la maschera di questi uomini forti e capaci, ricchi di energia creativa. Ho fotografato Davide Scabin e Teo Musso non perché fossero cuochi famosi nel mondo, ma perché avevo letto la loro storia personale ed ero rimasta impressionata dalla forza del loro carattere".



Lo scatto più difficile?
"Quello al professor Vincent Dor, ritratto a Montecarlo nella sua clinica di fama internazionale. Appena lo incontro mi dice che è stato fotografato da Newton e mi spiega come vuole lo scatto. Io accetto, ma prima gli chiedo se posso farne uno a modo mio. Il risultato è come se avessi inserito la macchina fotografica dentro al cuore: l'ho conquistato!".
Parliamo invece del progetto Sul cuscino?
"Tutto è nato dall'esperienza con gli chef, che spesso facevo sdraiare per gioco. Era un escamotage per rilassarli velocemente. Quando si è spalle a terra ci si lascia andare, si può essere se stessi al di là del ruolo sociale che si ricopre, e il sorriso nasce spontaneo. Nel tempo ho ritratto personaggi famosi, ma anche persone normali. Mi piacciono le donne che vogliono veder riconosciuta la propria bellezza e quelle che non si sentono perfette e che poi, dopo lo scatto, si innamorano del proprio viso. Ogni foto ha una storia da raccontare ed è un'esperienza unica sia per chi si fa ritrarre sia per me".










Luca Argentero
attore


Cosa c'è di meglio di un caffè a colazione? E se il caffè in questione facesse anche del bene? Partendo da questa semplice domanda due amici hanno creato una onlus dal nome davvero semplice e immediato: 1 caffè. I fondatori sono Beniamino Savio (presidente) e Luca Argentero (vicepresidente) ai quali si sono aggiunte Silvia Bellesso, Federica Fini e Francesca Argentero.
Lo scorso 19 dicembre questi "eroi metropolitani" hanno firmato la regia di un party ai Lumiq Studios che ha unito solidarietà e divertimento. Perché se basta un caffè per aiutare qualcuno, tanti caffè fanno davvero la differenza, come ci spiega Luca (Argentero) in questa intervista.
Come è nato il progetto?
"L'idea è semplice: offrire un caffè è un gesto comune, un modo per conoscere meglio le persone, concludere affari, risolvere problemi. A Napoli c'è la tradizione del caffè sospeso cioè pagato per chi non può permetterselo, non importa chi. Noi siamo partiti da questa idea e abbiamo creato una onlus che ha come obiettivo aiutare le piccole associazioni no-profit attraverso delle donazioni quotidiane effettuate attraverso il web".
Perché avete scelto internet come mezzo di promozione e donazione?
"Perché è veloce, aggregante, trasversale, sociale, individuale proprio come un caffè e poi perché è lo strumento ideale per un'iniziativa global come la nostra.".
Una donazione diversa ogni giorno: una bella idea.
"In Italia esistono più di diecimila piccole associazioni no-profit che hanno dei progetti concreti, ma pochi fondi per realizzarli. Per supportarle abbiamo pensato di fare una raccolta da destinare ogni giorno ad una specifica iniziativa così da raggiungere quanti più possibili progetti di solidarietà e naturalmente noi non tratteniamo nulla dei diversi... caffè".
Anche il party di questa sera rientra nell'iniziativa?
"Naturalmente. Qui non offriamo caffè, ma Martini. L'azienda ha creduto nel progetto ed è sponsor della serata. A giudicare dal numero di persone presenti credo che riusciremo ad aiutare parecchie associazioni e sono davvero contento".










Virginia Sanchesi
organizzatrice di eventi

Chi è Virginia Sanchesi?
"Una creativa che concretizza i suoi sogni, una curiosa nei confronti di ogni forma d'arte, di pensiero e di cultura. Una passionale nei confronti della vita che si impegna per realizzare le sue idee. Una donna che si mette in gioco e non ha paura di esporsi".
Parliamo della tua professione.
"Organizzo eventi e mi occupo di comunicazione editoriale con le edicole non solo di Torino, ma anche del Piemonte e della Lombardia. L'attività con questi punti vendita, che registrano in media 1500 contatti al giorno, consente alle aziende di avere una visibilità immediata e di verificare in maniera tangibile il successo di un'iniziativa".
Tra gli eventi che hai creato, quale ti ha soddisfatto maggiormente?
"Casanova a Palazzo, il fuoco e la passione. Palazzo Saluzzo Paesana è stata la location ideale per questa festa in cui non era obbligatorio mascherarsi, ma quasi tutti lo hanno fatto. Mi è piaciuto vedere che gli invitati avevano affittato abiti a tema per immergersi in un'atmosfera incantata e onirica".
Il prossimo appuntamento firmato da te?
"Il lancio del calendario di Claudio Molinaro, fotografo che stimo per la capacità di catturare l'essenza delle persone. Giunto alla terza edizione, Obiettivo donna 2012 non presenta modelle professioniste, ma signore di età compresa tra i 35 e i 60 anni che sono state selezionate dopo un casting effettuato in tutta la penisola. Dedicato ai 150 anni dell'unità d'Italia e a Torino, il lavoro viene presentato in anteprima al Top Club di corso Moncalieri 145 martedì 13 dicembre a partire dalle ore 20.00. Ad organizzarlo è Libra Concerti, la mia agenzia. Si inizia con un light dinner e si prosegue con la musica e il taglio della wedding cake tricolore, una torta che ho fatto preparare per rendere omaggio alla bellezza Made in Italy. Abbiamo anche allestito un corner per chi desidera candidarsi come modella per il calendario 2013. Il costo dell'ingresso alla festa è 20,00 euro e il divertimento è assicurato".






Maurizia Pennaroli
personal shopper


Che cosa significa essere una personal shopper a Torino?
"In Italia, in generale, l'idea del personal shopper è diversa rispetto agli States: a noi i clienti non chiedono di comprare diamanti e auto di lusso, ma abbigliamento e food. Le signore torinesi vogliono una consulenza di moda o perché desiderano cambiare look o perché cercano negozi nuovi rispetto a quelli in cui si servono abitualmente. Un altro settore molto forte in città è quello enogastronomico: i turisti ci riconoscono delle eccellenze in fatto di vino e cibo".
Chi si rivolge a te?
"Soprattutto persone in visita a Torino che approfittano dello shopping per conoscere la città e i suoi locali storici. Poi molte neolaureate che devono iniziare la carriera professionale ed hanno bisogno di un'immagine adeguata, ma hanno a disposizione un budget contenuto, le mamme delle future spose e le signore che cercano uno stile in linea con l'età e la taglia. Con molte clienti ho creato un rapporto di fiducia e un percorso che le ha portate lentamente a cambiare il proprio look".

Quale iter occorre seguire per diventare personal shopper?
"Bisogna essere preparati: io ad esempio ho seguito un corso organizzato dall'Ascom ed ho studiato la realtà commerciale di Torino. Occorre anche essere attenti alle tendenze, anche quelle meno urlate, ed essere informati su tutto: food, design, bigiotteria, antiquariato, moda e non solo. Occorre poi saper ascoltare le esigenze dei clienti e concentrarsi su di loro, perché le due ore con una personal shopper devono essere una coccola".

Un aspetto difficile della tua professione?
"I primi istanti dell'incontro, quando devi conoscere una persona e capirne immediatamente i gusti e le esigenze. A volte ci sono clienti che non vogliono farsi consigliare per cui il mio ruolo diventa quasi scomodo".
Un bilancio?
"Sono molto soddisfatta: aiutare le persone è piacevole. A volte donne che si sentono goffe o poco femminili acquistano sicurezza e mi ringraziano per il supporto psicologico che ho dato loro. Ho una clientela fidelizzata e questo mi fa piacere, ancora più dei complimenti che ricevo".
Un momento del tuo lavoro che ti è rimasto impresso?
"Un marito che ha regalato alla moglie un incontro con me dopo la gravidanza. Un modo per farla sentire bella e sicura di sé".








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